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Gli occhi di Gaetano

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Il mio indiscusso maestro di “corteggiamento” è stato Gaetano, un convinto assertore del motto: poche parole, molti fatti.
Io, povero scugnizzo venditore di pesci, avevo un unico modo per esternare i miei sentimenti: l'urlo. Avrei fatto fortuna, immagino, nella New York del dopoguerra; nessuno mi avrebbe battuto, come strillone. Io, la stessa cosa che loro facevano in Wall Street, la facevo al mercato del Rione Sanità, a Napoli, mia città natale.
Gaetano invece era un teatrante, ed esternava usando quanto aveva di meglio, regalo di madre natura: bella presenza, faccia da schiaffi, occhi talmente penetranti che quelli del mago Houdini, al suo confronto, li potremmo definire lucciole in carenza di fluoro.
No, la parola gli mancava, o meglio non la usava per paura di far brutta figura, talmente era dislessico, e a volte perfino balbuziente.
« Parla poco Gennarino, verba volant, occccc...chi mannett... », diceva senza sapere bene cosa significassero quelle parole antiche.
Le aveva imparate, storpiandole, dal professore, un brav'uomo che veniva al mercato a raccogliere la merce rimasta invenduta. Per i suoi gatti, diceva. Ma i gatti mangiano le mie sardine, non le melanzane o le carote che vendeva Gaetano. Và buono, ma il professore a noi voleva bene, e noi a lui. Ci raccontava storie della scuola, quando ancora insegnava lettere in un liceo del centro, il Vincenzo Cuoco che, a suo dire, era stato un grande storico.
Insomma, tornando a Gaetano, lui comunicava con gli occhi, e doveva pure averci la calamita dentro, e anche la corrente elettrica perché attirava le ragazze come il formaggio i topi; e poi le fulminava.
« L'interruttore della scarica lo premono loro, Gennarino...non devi neppure faticare », diceva spesso.
Per me restava un mistero come facessero le ragazze a capire quel che dicevano quegli occhi, era come se fossero tutte laureate in oculistica, o anche in lingue dell'occulto. E invece erano ragazze di borgata, del nostro rione, popolane insomma, come noi, non è che avessero studiato tanto.
Io provavo e riprovavo ad imitarlo, ma le lettere che uscivano dai miei occhi parlavano una lingua straniera, per loro. Trovavo una moretta dalla pelle di cioccolato al latte, e le dicevo con lo sguardo: bella gioia, fammela baciare quella tua pelle, fammi annusare i tuoi capelli neri, vieni con me tra i fiori del male... ma intendevo quelli del bene, almeno a me avrebbero fatto bene di certo. E quella, dispettosa e ignorante, nel senso che non capiva la lingua dei miei occhi, diceva alle amiche:
« Che vuole questo... lo conoscete?... », e se ne scappava.
Io mi offendevo per quel suo chiamarmi “questo”, non per altro. Però capivo che il mio sguardo parlava una lingua difficile, e dovevo aiutarlo in qualche modo.
Fu così che iniziai a fare il mimo. Fermavo una ragazza, la guardavo negli occhi come se volessi ipnotizzarla, e con le mani facevo dei gesti: tu, a me, daresti un bacio?...l'ultima mossa la facevo con la bocca a culo di gallina chiudendo gli occhi. A volte pigliavo borsettate in testa, oppure la sentivo urlare, scappando:
« Aiuto, un maniaco...è pure muto »
Ma Gaetano insisteva nel volermi insegnare. Aveva una sua teoria, in fatto di donne.
« Bisogna trovare il punto debole, la chiave del cancello che apre il loro cuore. Bisogna scardinare 'o sentimento » , ripeteva quando qualcosa andava storto.
Era arrivato ad una specializzazione tale che riusciva perfino a capire se una ragazza fosse miope, e nel caso adeguava la distanza dei suoi occhi, messaggeri d'amore, alle diottrie della vittima.
« Se vedi che chiude gli occhi a fessura come fanno gli indiani nei film, è segno che soffre di vista corta. Allora avvicinati tu... », era uno dei suoi motti.
« E se invece si allontana, i casi sono due: o è presbite, ma è difficile a quell'età, oppure puzzi ancora di sardina... » , era l'altro suo motto.
Ma io mi lavavo tre volte al giorno, e mi profumavo con l'acqua di colonia che zia Matilde aveva portato da Lourde. Era un'acqua magica che scacciava tutto: malanni, raffreddori, zanzare e odori cattivi di ogni tipo, anche quello di uova marce o dei vestiti ammuffiti nelle stanze con gli armadi a muro.
Il colpo da gran maestro Gaetano lo mise a segno in una vecchia balera di Fuorigrotta, dove si ballava il liscio e si cantavano canzoni napoletane. Eravamo andati lì a bordo dell'Ape diesel di suo zio Salvatore, quello che vendeva legna secca per i forni del pane, giù al mercato.
Il cassone era pieno di cortecce di ulivo e di foglioline, e quando partivi svolazzavano dietro noi, come tante farfalle in primavera.
Eravamo entrati vestiti a festa, sembravamo Al Capone e Jack lo squartatore di femmine.
Lui adocchiò al volo una tortorella, una splendida castana che pareva delicata al punto tale da farti pensare che se l'avessimo toccata avrebbe potuto rompersi, tanto era fragile, come di ceramica.
Una statuina di Capodimonte. Lui si avvicinò, la fissò alla maniera di Geronimo, nel qual caso i suoi occhi così parlavano:
« Tu donna bianca molto bella; io uomo rosso d'amore. Vieni nella mia tenda e ti farò felice con la mia collezione di francobolli », che invece erano tutte le mutandine che aveva raccattato in giro per conquiste in tutta la costiera.
Lei fece una smorfia; era talmente evidente che la videro tutti, ma proprio tutti. Stava crollando un mito. Nell'aria c'era una elettricità che non faceva presagire niente di buono.
Allora Gaetano si avvicinò, e giocò la carta vincente, quella che teneva di scorta come i viveri K : annegò i suoi occhi in quelli della vittima, orientò il polo magnetico in direzione lui-lei, e azionò l'interruttore della corrente, nel timore che non lo facesse lei stessa. Era la prima volta che arrivava a tanto, non ne aveva mai avuto bisogno.
Non ci crederete; lei si ritrasse ancor più, fece con la bocca la stessa smorfia che si fa per segnare il tre di briscola, con l'angolo delle labbra che si allungano verso l'orecchio e il muscolo del collo che si tende, e disse, alzandosi e andando via:
« No, grazie... non mi interessa. »
Io ero interdetto, e la cosa risultava strana anche per chi era lì presente, tutta gente che conosceva Gaetano e la sua fama di femminaro, come direbbe Montalbano.
Avessi potuto, ma non sapevo come, me la sarei presa io la colpa, tanto ci perdevo poco o niente... ma per Gaetano era diverso, non sarebbe stato più lui dopo quella volta. Era troppo cocente la sconfitta, giocando in casa poi.
E invece ci pensò lui a salvarsi in corner, alla faccia di quelli che lo credevano knock-out.
« Ma che gli avevi detto, Gaetano... », gli chiedevano in coro i presenti, convinti che non avrebbe saputo dare risposta.
« Niente di che... le ho chiesto se voleva uscire con il mio amico Gennarino... » , e intanto guardava me, schiacciandomi l'occhio.
Era proprio un grande quando usava i suoi occhi, Gaetano...e quella volta lo fu il doppio.
Io restavo lo sfigato di sempre, e lui l'uomo che non doveva chiedere mai. La famosa legge dello Status quo, avrebbe detto il professore.

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